Marocco 2010: Il suk di Marrakech a cura di Sandra Fabbri Monfardini

Admin
27 Giu 2011

Marocco

Credo non ci sia altro luogo al mondo che esponga così tante merci di così tanti generi tutte assieme, una città che sembra aver perso il senso della misura e acquisito la capacità di saturare tutti i sensi, la vista per prima, con il diluvio, la valanga, il fortunale di abiti gioielli borse lampade scarpe tappeti stoffe che t’investono, inaspettata nella sua enorme quantità. Entri nel suk ed immediatamente ti si aprono davanti strade strettissime addobbate dall’impossibile. Hai l’impressione che ogni strada si dirami a destra e a sinistra per rivelarti altri arcani negozi, invisibili fino a un secondo prima, la maggior parte piccolissimi, il venditore che mostra solo la sua testa e un accenno di spalle, circondato, o meglio inglobato nella propria merce, banco di vendita il suo stesso corpo, neppure lo spazio per un gesto ampio, un pilota di formula 1 bloccato nel suo abitacolo un secondo prima della partenza, ma la sua scocca è fatta di mandorle, datteri, fichi, altri e sconosciuti frutti secchi ronzanti di vespe, che stanno per inghiottirlo.
Passi oltre, volgi lo sguardo e si aprono altre infinite prospettive di negozi, davanti a te, a destra, a sinistra, dietro ad altre aperture Passi avanti e i negozi si richiudono, come un catalogo, su se stessi. Hai l’impressione di vivere in un universo virtuale: in realtà il suk è disegnato da un ottimo inventore di video giochi, che ha messo pure te dentro il programma, ma non ti ha fornito il joystick per controllare il gioco, tu stesso personaggio in mano a non sai (e non saprai mai) chi, che ti guida per percorsi a te sconosciuti. Continui ad andare, non sai più se avanti, di lato, sopra, sotto: perdersi è la regola, nel suk. Senti un odore strano, un pulviscolo nell’aria e un chioccolare sommesso, sovrastato da un chicchirichì. Un intero mercato di polli, centinaia di gallinacei, e i venditori solo uomini, coperti di pulviscolo piumoso.
Il suk di Marrakech è come un libro di carta, di quelli tutti piegati che quando si aprono rivelano, in tre dimensioni, la figura che contengono. In questo caso, però, ciascuna pagina si apre rivelando la propria faccia interna, che a sua volta si apre su altre facce ancora più interne, nascoste alla vista diretta, vicoli di carta illuminati di molti colori, che a loro volta si moltiplicano in altre migliaia di pagine, all’infinito, finché non arrivi ad uno spiazzo più assolato e più largo che mette fine alla teoria di vicoli e coperture che fino ad allora ti hanno inglobato.
Oppure puoi leggerlo come un labirinto, uno di quelli veri, di quelli che non hanno indicazioni per l’uscita. Sai da dove entri, più o meno lo sai nel momento in cui lo fai, già il giorno dopo non riesci più a ritrovare quel varco spaziale che ti ha inghiottito il giorno prima. Sicuramente non sai dove uscirai, di fronte a te, in continuazione, si aprono diramazioni e bivi, e tu scegli, attratto dalle merci esposte o dai colori che ti arrivano dall’aria. Sta a te scegliere quale strada prendere, volta a volta, e tua sola è la responsabilità. Di sicuro, non sai, a priori, dove ti può portare quella strada che hai scelto. Il suk è la metafora della vita: davanti a te migliaia di offerte e di strade. Non sai, in anticipo, dove quell’offerta o quell’odore o quella sensazione che ti attraggono potranno portarti, non saprai mai se quello che NON hai scelto sarebbe potuto essere migliore della scelta che hai fatto. Lo capirai, ma non è sicuro, solo all’uscita del labirinto.

 

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