Ci sono sguardi che mai potrai dimenticare, sorrisi che rimarranno sempre nel tuo cuore, emozioni nuove, uniche, incancellabili.
Attrazione. Quel punto, in mezzo al continente africano, che come una calamita attirava la mia mano, mentre scorrevo quella sfera di mondo, cosciente del fatto che un piccolo Stato dell’Africa più nera, mi stava chiamando, come se io non fossi la fonte diretta della decisione. Attratta da una sorta di calamita, che riusciva a socchiudere la mia mano e facendo puntare l’indice lì, appena sopra l’equatore, nel cuore dell’Africa. L’Uganda.
Non avevo mai preso in considerazione quello Stato, ogni volta che vedevo un planisfero, anche solo per sbaglio, il mio sguardo finiva proprio lì. Inevitabilmente.
Era arrivato il momento di cambiare aria e staccare la spina, di conoscere una nuova Terra, un nuovo popolo, una nuova cultura. Ma soprattutto, era arrivato il momento di conoscere il significato della parola libertà e di riuscire a volare, realizzando i miei sogni battendo le ali, senza più fermarmi.
Dopo averla tanto sognata, desiderata, immaginata, finalmente stavo riuscendo a raggiungere quel luogo, toccandolo con i miei stessi piedi. Quella Terra, che fino poco prima continuava a parlarmi, e per me rimaneva utopia. Finalmente riuscivo a sentirla. E questa volta la sentivo davvero vicina.
Non chiedetemi perché, eppure, da sempre, nella speranza di partire per qualche meta precisa e lontana, il mio sguardo si focalizzava sempre ed immancabilmente lì, nell’emisfero meridionale, immobile sul continente africano. Incuriosita dalla sua forma massiccia, dalla sua grandezza, dalla molteplicità di colori e animali che sapevo esserci, dalla varietà dei paesaggi, ma soprattutto, dagli sguardi intensi ed i sorrisi solari di quel popolo, che solamente attraverso una fotografia o una telecamera, riuscivano a riscaldarmi il cuore.
Ero veramente colpita da ogni singola cosa. Sentivo il desiderio di diventare una di loro, almeno per un breve periodo, che poi si sono rivelati due, e chissà più avanti che non possano essere, tre, quattro, o una meta annuale prestabilita.
Sono partita, assieme ad una compagna speciale, fidata. Me stessa.
Destinazione Uganda. La perla d’Africa, a ridosso del grande lago Vittoria, immerso nella savana equatoriale dell’Africa dell’est, attraversata dal Nilo e tinta da colori magnifici.
Sapevo che avrei passato il mio tempo all’interno di un orfanotrofio, il St. Jude Children’s Home diretto da Brother Elio, un fratello comboniano di Moena di Fassa, che da più di 30 anni opera nel Nord Uganda.
Di certo e sicuro, c’era ben poco, se non il fatto che sarei salita su un aereo.
Una volta atterrata ad Entebbe, con un sorriso stampato in faccia, ad aspettarmi c’era un’uomo, in fondo ad una sala, seduto su una sedia.
Elio. L’uomo che ha realizzato uno dei miei sogni più grandi sin da quando ero bambina e che con il suo abbraccio caloroso mi ha fatta sentire subito a casa, dandomi un’ulteriore carica ed eccitazione. Ero alle stelle.
L’uomo che mi ha dato la possibilità di vivere l’Africa, e di vivere a stretto contatto con i bambini del St. Jude, più o meno un centinaio, in cerca di cure e protezione.
Quei bambini straordinari, con il loro spirito puro e quell’aria sorridente e furba, che hanno reso la mia esperienza unica.
Un impatto forte, un farfallio allo stomaco, brividi di felicità, il corpo inabissato in una danza e i sentimentimenti stavano prendendo forma. Mi sentivo viva, il cuore batteva all’impazzata.
Non è semplice raccontare cosa ho vissuto in quel periodo. Ho avuto la possibilità di aiutare i bambini disabili, aiutandoli a svolgere la fisioterapia, vitale per le loro condizioni fisiche. Bambini abbandonati, dimenticati dal mondo, costretti a convivere con un passato crudele e mi rifiuto di pensare ad un destino altrettanto tragico. Reduci da violenze, abusi, ed ingiustizie, come il piccolo Olebe trovato legato ad una catena fuori da una capanna abbandonata, durante gli anni in cui i ribelli non davano pace a questo Paese che tutt’ora porta la piaga della guerra, finita nel 2006.
Sei settimane intense, nelle quali ho assistito a scene molto crude contrapposte a scene bellissime.
Ci sono immagini che la mia mente mai potrà dimenticare. È un segno nel cuore, invadente. Violenze su dei bambini innocenti, corpi sciupati di bambini affamati, volti tristi e sofferenti, occhi nei quali si legge la più totale disperazione. Tante le volte che mi sono sentita un piccolo puntino nel mondo, impotente di fronte a qualcosa di troppo grande. In realta è vero, lo siamo, una piccola luce in mezzo all’universo, ma è bello e confortante sapere che in tante altre situazioni, questa luce può prendere sempre più luminosità e divagare. E così mi sentivo quando mi prendevo cura dei bambini, quando li facevo sentire vivi, importanti, considerati, giocando, ballando, ridendo e urlando con loro. Ed erano proprio le loro urla che rimpiazzavano la sveglia ogni mattina, accompagnate dal rumore della pompa dell’acqua, fonte di neccessità e divertimento.
Regna un’atmosfera speciale, unica, una quiete sovrana, un amore spontaneo e incondizionato verso tutti, contrapposto da una violenza dovuta ad una cultura totalmente diversa dalla nostra, dovuta probabilmente dagli strascichi di una guerra che ha torturato questo popolo, lasciandolo nella povertà, immerso nelle sofferenze, e le malattie.
Il cuore che pulsa, si stringe e si espande in continuazione, in profondità. Ti fa sentire viva. Sono stati proprio loro a farmi sentire viva, e queste situazioni a farmi capire che al di fuori dei nostri sogni, del nostro dannato materialismo, egoismo, c’è un popolo che vive sotto un tetto di paglia, tra le umili mura delle capanne costruite col fango. Un popolo che deve percorrere kilometri a piedi per raggiungere il pozzo d’acqua più vicino, bambini che scalzi rincorrono una palla di carta anziché di quoio, e nemmeno rimbalza! Ragazzi che sognano di avere un futuro come noi, Muzungu, che in swahili significa bianco.
Il ritorno non è stato per niente facile, fiumi di emozioni, contrastanti, nostalgia di quei bambini che in quelle settimane erano riusciti a succhiarmi tanta energia, a farmi sentire amata, tra i loro abbracci, sorrisi e sguardi. Emozioni che non mi lasciavano pace.
Cos’è questo amore incondizionato per l’Africa?! Che cosa è l’Africa se non un continente come un’altro? Forse è qualcosa di più, qualcosa che non riuscirò mai davvero a spiegare come vorrei! L’Africa è una Terra magica, una Terra che vive, che soffre e che ama come le altre Terre, ma in maniera diversa! O forse di Africa ho conosciuto poco, ma ho conosciuto il popolo, ed è il popolo che fa la Terra! Ho conosciuto i bambini, lo specchio della felicità e la spensieratezza nonostante i tanti problemi che hanno. Bambini ammalati di Aids, bambini abbandonati, bambini rimasti orfani che insegnano il valore della vita. Insegnano che se mai dovesse esserci qualcosa che non va, ciò non deve permettere che il resto si fermi.
Se hai un problema, la vita di certo non ti aspetta. Se mentre cammini ti accorgi, guardando verso il basso, che il laccio della scarpa si è sciolto, e devi fermarti per legarlo, la vita continua lo stesso, e non puoi perdere tempo, sta a te rincorrerla perché sei te che sei rimasto indietro. Ti chini,, sistemi velocemente il laccio e corri consapevole del tempo perduto
Il mio sogno si è realizzato, ma è qualcosa di più di un solo sogno! È un quadro completo, perfetto, di un’esperienza coi fiocchi! Di un’esperienza toccante, significativa. Un’esperienza di amore.
Ho amato e sono stata amata.
È Africa. Gli occhioni di questi bambini sono Africa, il loro cuore è Africa, i loro sorrisi sono Africa! Tutto quello che ho potuto vivere si chiama Africa! Africa da conoscere, Africa da amare, Africa da soffrire! La vita continua, ma ora, non più senza questi bambini! Mi accompagneranno sempre!
Non passava giorno senza che io pensassi a loro, pensando che sarei tornata. E non è passato nemmeno un anno per fare ritorno, riabbracciarli, e vivere una seconda esperienza senza eguali.
E continuerò a farlo, quel pezzo d’Africa è anche mio, ed un pezzo del mio cuore, appartiene a loro 😉
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